Wither and Warp, Methanal Doll, Buyer’s Remorse, Splendid Isolation e Oiled Animals, scritte e interpretate da Margaret Chardiet compongono l’ultimo album della musicista sperimentale, in arte Pharmakon.
MAGGOT MASS è il quinto album della Chardiet, la quale rimane stilisticamente riconoscibile seppure con delle variazioni. Fedele al noise e alle sperimentazioni nel mondo dell’elettronica, Pharmakon questa volta ha lasciato spazio a uno stile più industriale – scelta che lega al meglio il percorso musicale al tema centrale dell’album -.
Prodotto da Margaret Chardiet e Sasha Stroud – e da quest’ultimo registrato, mixato e masterizzato presso gli Artifact Studios – MAGGOT MASS ha poco più di un mese di vita ma il suo impatto è eccezionale non solo perché segna un ritorno in scena della musicista dopo cinque anni (il penultimo album Devour è stato pubblicato nel 2019), ma per una qualità e ricerca che confermano quanto Pharmakon sia un progetto profondo e di gusto, visionario e di impatto.
Le note punk e new wave in MAGGOT MASS, più evidenti rispetto a lavori precedenti, testimoniano un’evoluzione di stile che si sposa al meglio con il sentire profondo dell’artista e ciò che quest’ultima ha voluto trasmettere e raccontare.
Le cinque tracce che compongono l’album descrivono una crisi oggi impossibile da ignorare: un mondo che soffre, una natura che non smette di esistere nonostante sia messa a dura prova mentre dona ossigeno e vita. Una natura che il genere umano sembra non riuscire a rispettare e amare: gli esseri umani usano e abusano in modo distratto, senza riuscire più a connettersi alla bellezza che li circonda. L’istinto di una connessione primordiale con il tutto appare perduta e tale viaggio decadente ma poetico è rappresentato a livello sonoro in modo diretto e avvolgente, dove chiaro è un senso di disgusto che la Chardiet prova nel guardare i suoi simili tanto lontani da ciò che li mantiene in vita.
Se il nostro valore fosse invece determinato dal nostro contributo all’ecosistema, chi potrebbe affermare che un essere umano ha più valore di un verme? I vermi riciclano la morte in vita, scomponendo la materia e alimentando una nuova crescita. Si trasformano in mosche, impollinando le piante e sostenendo la flora terrestre. Al contrario, gli esseri umani inquinano piuttosto che impollinare, con pochi eletti che traggono profitto dallo sfruttamento a spese della biodiversità e del benessere di molti.
È il rapporto disfunzionale tra umanità, natura e altri esseri viventi ad armeggiare l’artista mentre riconosce nella struttura della società occidentale i colpevoli: un modo di vivere imposto e illusorio che ha stimolato l’isolamento dalle sensazioni più arricchenti facendo allontanare l’uomo dal suo essere parte di una perfetta armonia. Così tutti si ingrigiscono proprio come ingrigito è il paesaggio: con la perdita del brio, dell’amore per le forme di vita, si genera anche una solitudine che pare insuperabile e l’antidoto offerto è un mero consumare, acquistare in modo compulsivo, distruggere per avere, avere, avere.
E per quante distanze si possano creare, per quanto si possa essere ciechi, ogni essere in vita è necessariamente legato e prima o poi, sarà nuovamente parte del tutto:
once I slough
off this human skin
I will find my home
and ancestral kin…
in the coffin-birth
of my cadaver’s ecosystem