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Idles: ciliegione sopra la foresta di Sherwood

Partiamo dal presupposto che Andrei Kanchelskis era un bidone e Danny Nedelko un comprovato fuoriclasse assoluto. Ciliegione perché la band è come er cacio sui maccheroni sopra lo Sherwood Festival. La band heavy post-punk di Bristol durante l’esibizione live entra subito in sintonia con il pubblico anche perché i testi non le mandano a dire a razzismo, fascismo e sessismo. Parlano di politica, di discriminazione e anche della libertà di non avere paura a essere ciò che si è. Sono un bel promemoria del fatto che la musica sa essere un eccellente veicolo per messaggi con un’anima; un dettaglio spesso dimenticato, finito nel fondo di un cassetto, riempito da hit che durano giusto il tempo di una playlist. Per carità servono anche quelle ma c’è una innegabile differenza in termini di spessore. La band che fa della schiettezza un prezioso punto di forza non ha bisogno di troppi giri di parole per spiegarti le cose. Nelle loro canzoni parlano della realtà che tutti noi incontriamo per strada, quella che vediamo poco al telegiornale e che spesso quando passa viene strumentalizzata. I sentimenti degli IDLES sono estremi e fortissimi, esattamente come la loro musica. Autentici e intrisi di una buona dose di dolore, come è giusto che sia. La voce di Joe Talbot ti ringhia gradevolmente in faccia, le chitarre sono pesantissime e i testi ti trascinano in strada ricordandoti tutto quello che non va bene in questo mondo. “La paura genera panico, il panico genera dolore – Il dolore genera rabbia, la rabbia genera odio. Flyby!



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